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Catania è tutta un buco
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Catania è tutta un buco
di Roberto Di Caro
Municipio in bancarotta, senza più soldi per la luce. Cantieri incompiuti ovunque. Opere inaugurate e abbandonate. Vita di una città con l’acqua alla gola.
Uno squarcio lungo 508 metri e largo 176, nel cuore della città. Terriccio sbancato cinquant’anni fa, palizzate cadenti, arbusti rinsecchiti, e in mezzo al buco le ultime tre baracche di rom rimaste dopo lo sgombero. Ora pare davvero che ci metteranno mano, alla ricostruzione di Corso Martiri della libertà. Ma ‘il cratere’, come lo chiamano, è così da quando, 35 anni fa, il ricorso di un ingegnere bloccò a metà l’orrenda cementificazione con cui Istica, allora società di emanazione vaticana, aveva spianato e rifatto l’intero corso Sicilia. Desolante immagine di una città vitale ma inconcludente. Bellissima nel suo barocco settecentesco ma all’abbandono. Fiera della sua movida notturna e delle famiglie a spasso fino alle ore piccole a ingollare granite di mandorla, orgogliosamente indicate persino dalla ragazza del trenino per turisti; ma incapace di portare a termine alcunché. Lavori fermi, vite sospese, inaugurazioni fasulle, soldi al vento, questa è Catania. E casse vuote: il neosindaco Raffaele Stancanelli, di An ma legatissimo al presidente della Regione Raffaele Lombardo “fin dai tempi in cui eravamo compagni di banco ai Salesiani”, si ritrova sulle spalle il mostruoso buco finanziario, specchio di quello fisico di corso Martiri, accumulato nei sei anni di gestione dell’ex-sindaco Umberto Scapagnini, il medico di Berlusconi ora senatore di Forza Italia.
La fotografia che Stancanelli fa della sua città è impietosa: “Abbiamo debiti per novecento milioni di euro, mezza Catania è al buio perché dobbiamo 16 milioni alla società che gestisce l’erogazione, i fornitori aspettano 140 milioni, le cooperative che assistono anziani e malati non pagano gli stipendi da mesi. E i debiti fuori bilancio neanche sappiamo a quanto ammontano. Nel disastro c’è di buono che non mi si può ricattare: i soldi sono finiti, non ce n’è per nessuno!”. Spera di salvarsi trattando con la Cassa depositi e prestiti l’allungamento della restituzione del debito, tagliando 18 milioni di rate all’anno: ci sarebbero due istituti di crediti pronti a rifinanziare, Hsh e Banca di Scozia. Sempre che Tremonti non gli faccia lo sgambetto. Sennò il Comune dovrà dichiarare il dissesto, i fornitori saranno pagati al 30 per cento, duecento aziende falliranno, le addizionali locali saliranno alle stelle. E Catania sprofonderà peggio che sotto l’eruzione del 1669.
Da senatore non s’è dimesso, Stancanelli: “Ma se appena insediato mi hanno iscritto nel registro degli indagati per occupazione abusiva di suolo demaniale!”. Vero. Alla prima uscita pubblica aveva inaugurato il solarium, grande piattaforma in legno sul lungomare, fatta perché i catanesi si godessero i bagni, senza ingolfarsi in un traffico infernale per arrivare fino a Plaja. Per una settimana ci si sono stipate duemila persone al giorno, incuranti, come l’amministrazione che li ha messi, dei due cartelli a lato che recitano uno ‘divieto di balneazione’ e l’altro ‘attenzione, non ci sono bagnini’. Poi è arrivata la Guardia costiera che ha chiuso e sequestrato il solarium fuorilegge: e adesso se appena t’azzardi a oltrepassare il nastro che lo circonda ti blocca uno dei 540 vigili in forza al Comune: per la cronaca, 5 semplici e 535 ispettori. Così si campa, in una città con l’acqua alla gola.
È il regno dell’una tantum. Nel senso che, come il solarium, le cose si usano una volta e via. È penoso ficcare il naso nel teatro di viale Moncada al quartiere Librino: struttura modernissima, la inaugurarono dieci anni fa, ci fecero una rappresentazione il primo Natale, poi fine dei giochi e delle recite. Ora lì dentro, in quelli che erano i camerini ormai senza infissi, ci smantellano i motorini rubati, e un puzzo ti prende alla gola perché ci bruciano i fili elettrici per liberarli dalla plastica e vendersi il rame. Ma il muraglione di palazzi del Librino è così, quasi una incontrollabile deformazione umana dell’algido piano architettonico disegnato da Kenzo Tange nei primi anni settanta: come Secondigliano a Napoli, come lo Zen a Palermo. “Lo vede? Venti milioni di euro sono costati quel palasport e quella villa coi campi di calcio. Crede che mio figlio ci abbia mai potuto mettere piede?”, indica Armando Battaglia, lavoratore sull’autostrada e sindacalista. All’altro lato della strada, sul marciapiede del famigerato Palazzo di cemento, stazionano spacciatori in passamontagna, e sono le 11 di mattina. Ma quando con un minimo di circospezione chiedi ai ragazzi del posto qualche dritta per aggiornare lo schemino delle cosche, i Santapaola e i Laudani, i sottoclan, le spartizioni, le guerre e le tregue, il ventiquattrenne Totò ti guarda col sopracciglio all’insù e ti dice: “Scusa, ma perché dovrei mettermi a spacciare quando posso aiutare un politico e poi candidarmi alle prossime elezioni per la circoscrizione, che se mi va dritta arrivo in Comune, e se mi va storta un posto comunque quelli prima o poi me lo danno?”
Ecco la politica, l’amministrazione, a Catania. Del tutto assente quanto ai servizi che dà a cittadini abituati a farne a meno. Onnipresente e pervasiva come rete di sottolavori, mance, piccoli scambi preelettorali, luccichìo di ipotetiche chance personali, imbuto obbligato di aspirazioni e speranze. Tutto dipende da quello che il politico ti lascia o non ti lascia fare: come le centinaia di bancarelle abusive che ogni martedì circondano la caserma dei vigili e la sede della municipalità del Librino, dove Scapagnini lo acclamavano perché non mandava mai un controllo e non lasciava aprire neanche un piccolo supermercato.
C’è un’altra Catania? Forse. Ma debole, incerta, comunque dipendente e penalizzata dalla politica: come la libreria caffetteria Tertulia di fianco al Teatro Massimo, punto d’incontro di fotografi, giovani artisti, ragazzi che suonano, cineasti di belle speranze tutti presi a organizzare una rassegna di cortometraggi per settembre, e buone forchette: “Fino a due anni fa avevamo una serata jazz ogni mercoledì”, raccontano il libraio Ciccio Distefano e il giovane ristoratore Giovanni Pistritto: “poi il Comune ha smesso di fare teatro e concerti in piazza, e s’è spento anche il resto. Ora c’è un po’ di ripresa. Vedremo”.
Oppure sta, l’altra Catania, sulla carta. Nei grandi progetti, legati anch’essi a doppio filo alla politica, da questa dipendenti e insieme pesantemente in grado di orientarla e manovrarla. Il clou è il cratere di corso Martiri descritto all’inizio. Dove stanno per edificare 400 mila metri cubi, 5 a metro quadro: non pochi, ma meglio dei 18 dei palazzacci di corso Sicilia. Di verde a Catania c’è solo il lussureggiante giardino settecentesco di Villa Bellini, in ristrutturazione da tre anni: perché nel cratere non ci fanno invece Central park? “Creda, non c’è catanese che non abbia fantasticato su cosa farci: foresta urbana di sequoie, bambinopoli, ripristino delle case chiuse che qui imperavano quand’ero ragazzino e mio padre non mi ci faceva neanche avvicinare. Ma altre sono le logiche di rinascita di una città”: Aldo Palmeri, sessant’anni e una storia da amministratore delegato Benetton, privatizzatore della Centrale del latte di Roma con Rutelli sindaco, liquidatore della Gepi che trasformò in Itainvest, consulente con una sua ‘boutique finanziaria’, è da febbraio amministratore delegato di Istica e Cecos, del costruttore romano Alessandro Parnasi che rilevò l’area quando la società vaticana fallì. “Il nostro”, rivendica, “è un intervento di alto profilo, mica una volgare lottizzazione! Rilancerà l’intero quartiere circostante di San Berillo, darà lavoro a sei-ottomila addetti fino al 2014, doterà la città di strutture come il nuovo mercato coperto, la Questura (ma il ministero degli Interni ne pagherà l’affitto, ndr.), 37 mila metri quadri di verde pubblico e altrettanti di parcheggio pubblico sotterraneo a due piani. E farà da volano per il recupero del waterfront. L’intera Catania cambierà volto!”.
Il planivolumetrico è pronto, e l’architetto Massimiliano Fuksas è all’opera per stendere sia il masterplan dell’area, completamente pedonalizzata, sia il progetto del mercato, che cancellerà l’attuale baraonda di bancarelle nella vicina piazza Carlo Alberto: “Caratteristico? Ma è una schifezza, un covo di illegalità. Diventerà il nostro Campo dei fiori!”, dice Palmeri. La scuola esistente verrà abbattuta, dicono che gli studenti sono in calo. Improbabile anche la chiesa sul terreno della Curia: pare preferiscano monetizzare. Previsti un grande mall commerciale di lusso, un albergo a 5 stelle, un teatro. Per un quarto del totale si farà edilizia residenziale.
Costruttori gli altri due gruppi che gestiscono il business: Eurocostruzioni di Giuseppe Garraffo, imprenditore catanese; e Risanamento San Berillo, società del consorzio Uniter che ha mille dipendenti in tutta Italia, e per figure chiave Mimmo Costanzo, ex assessore di centrosinistra con Bianco, e Santo Campione, ex uomo di fiducia di Mario Rendo, negli anni Ottanta uno dei Quattro Cavalieri di Catania. Se si aggiungono l’altro grande costruttore catanese Ennio Virlinzi e Mario Ciancio Sanfilippo, editore de ‘La Sicilia’ e di due tv, si ha la mappa del nuovo potere economico catanese. Ciancio, poi, è uno che deve avere la sfera di cristallo, se quasi tutti i terreni da lui acquistati come agricoli riesce poi a rivenderli come edificabili una volta approvati progetti di centri commerciali, ospedali, residence. Ciancio e Virlinzi entreranno nel business di corso Martiri? “Vedremo più in là”, risponde suadente Palmeri. Intanto comprano nel circostante quartiere San Berillo. Dove i prezzi salgono a vista d’occhio. Anche quell’area è tutta da risanare e recuperare. È il business prossimo venturo.
ha collaborato Antonio Condorelli
Earth Day: una giornata per il pianeta in affanno
Quattromila eventi in 174 paesi del mondo mondo in occasione dell’Earth Day, la giornata internazionale nata nel 1970 negli Usa su iniziativa del senatore del Wisconsin Gaylord Nelson per sensibilizzare l’opinione pubblica allo stato di salute della terra e invitare a un cambiamento dei comportamenti individuali. L’attenzione della giornata di quest’anno è diretta ai cambiamenti climatici, perche’ “la Terra ha il diritto di respirare aria pulita” – riporta come si legge nel sito web dedicato all’evento che invita ognuno a sollecitare ai propri governanti leggi “più rigorose” per fronteggiare i cambiamenti climatici. ”I segnali di stress ci sono tutti – afferma il WWF – e ci colpiscono direttamente, non fanno sconti: povertà e cibo, crisi energetica e cambiamenti climatici, scarsità di acqua che dalle aree più povere del pianeta si estendono ad aree storicamente fertili, a culle della civiltà quali il Mediterraneo. Energia, cibo e acqua sono le tre grandi emergenze, inequivocabili i segni dell’impronta umana”. Per questo il WWF ha scelto di lanciare anche quest’anno con la Campagna GenerAzione Clima la nuova sfida: un taglio del 30% delle emissioni entro il 2020 in Italia come nel resto d’Europa. L’obiettivo, promosso a livello internazionale dal WWF, concorrerebbe alla salvaguardia del 20-30% delle specie che sono a rischio di estinzione a causa del cambiamento climatico e alla riduzione degli impatti sull’uomo. Tra gli indicatori dello stress del pianeta vi è l’Impronta Ecologica, cioè il peso dell’impatto umano sulla Terra che è più che triplicato nel periodo tra il 1961 e il 2003. “Siamo in un debito ecologico estremamente preoccupante. Consumiamo le risorse più velocemente di quanto la Terra sia capace di rigenerarle e di quanto la Terra sia capace di “metabolizzare” i nostri scarti – ha dichiarato Michele Candotti, direttore generale del WWF Italia. E questo porta a conseguenze estreme ed anche molto imprevedibili. E’ tempo di assumere scelte radicali per quanto riguarda il mutamento dei nostri modelli di produzione e consumo. Siamo tutti consapevoli che i cambiamenti necessari per ridurre il nostro impatto sui sistemi naturali non saranno facili ma si basano su straordinarie qualità umane: la capacità di innovazione, la capacità di adattamento, la capacità di reagire alle sfide. E’ da come impostiamo oggi la costruzione delle città, da come affrontiamo la pianificazione energetica, da come costruiamo le nostre abitazioni, da come tuteliamo e ripristiniamo la biodiversità, che dipenderà il nostro futuro”. La Coldiretti ha presentato le “dieci regole per un consumo sostenibile“, come mangiare bene facendo attenzione al pianeta. Scegliere prodotti locali e di stagione, ridurre al minimo gli imballaggi, fare acquisti di gruppo, recarsi alla spesa riciclando le buste, ottimizzare il consumo di energia nella conservazione e nella preparazione dei cibi, sono, insieme alla raccolta differenziata, alcuni dei comportamenti suggeriti dal decalogo della Coldiretti per consumi responsabili. ”Infatti – precisa la Coldiretti – acquistando prodotti locali e di stagione ogni famiglia può ridurre di mille chili le emissioni di gas ad effetto serra ma ulteriori risparmi possono essere ottenuti con l’utilizzo di sportine riciclabili (200 chili all’anno) e attraverso altri semplici accorgimenti in cucina con pentole e frigoriferi a basso impatto energetico”. [GB] |