IL TEMPO DELL’EPIDEMIA MEDIATICA

9 ottobre 2009 at 15:09 Lascia un commento

di Donato Greco

Consulente, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, ISS

da LaVoce.info del 9 Ottobre 2009

http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001324.html

La paura dell’epidemia è radicata nell’essere umano e prevale sulla comunicazione basata sull’evidenza e sugli elementi scientifici disponibili. Esempio eclatante quanto accaduto con l’influenza aviaria. Una storia che rischia di ripetersi con il virus H1N1, anche se nei paesi già colpiti la sua incidenza è stata bassissima. E se gli allarmi del passato hanno permesso l’avvio di reti di sorveglianza adeguate e la crescita della cultura della prevenzione, speriamo che in futuro diminuiscano i falsi allarmi e si possa comunicare il rischio reale senza provocare allarmismo.

Credit © European Communities, 2009


L’influenza è un problema importante e ogni anno si ripresenta con i suoi altissimi costi sanitari e sociali. Quest’anno poi c’è una ulteriore brutta sorpresa: a fianco ai “normali” virus stagionali, se ne è aggiunto uno assolutamente nuovo, che è stato capace di acquisire geni dai virus influenzali degli uccelli e da quelli dei suini

Quali i possibili imminenti scenari per il nostro paese?

SCENARIO N. 1

Il virus suino si diffonde molto rapidamente nella popolazione giovane e adulta, fino a raggiungere un picco nel mese di dicembre per poi scemare nel mese successivo, quando inizia l’epidemia stagionale che permane, come di consueto, fino agli inizi di aprile. La velocizzazione dei contagi favorisce la crescita di virulenza del virus, casomai anche sviluppando qualche ulteriore mutazione. Si procede quindi a una intensiva campagna di vaccinazione di massa, a partire da fine ottobre fino a dicembre. La vaccinazione, insieme alle altre misure, riesce ad attutire l’impatto dell’epidemia riducendo la mortalità e la morbosità delle complicanze.

SCENARIO N. 2

Continua a esaurimento la trasmissione modesta del virus suino, le infezioni restano clinicamente molto moderate, non vi sono nuove mutazioni virali, l’incidenza dell’influenza è da 10 a 30 volte inferiore della ricorrente “stagionale”, l’epidemia si spegne a Natale per far posto al virus stagionale che inizia il suo consueto percorso. La vaccinazione contro il virus suino non viene fatta e il trattamento antivirale viene riservato ai casi di infezione nei soggetti ad alto rischio di complicanze batteriche.

COSA FARE, ALLORA?

Il principio di precauzione richiederebbe di sposare lo scenario peggiore e di prepararsi a una epidemia violenta: limitazioni agli spostamenti e riduzione degli eventi di comunità; campagna per il lavaggio delle mani e per le misure di distacco sociale; acquisizione di farmaci e vaccini in quantità e preparazione di piani urgenti specifici.

Ma nella maggioranza degli oltre cento paesi dove, da febbraio a oggi, il virus si è trasmesso, l’epidemia suina è ormai finita. L’incidenza è stata bassissima: da dieci a trenta volte inferiore a quella “stagionale”. Anche in Messico, primo paese colpito, l’epidemia è terminata a fine luglio. Ed è in fase calante anche negli Usa e in Inghilterra. In tanti mesi, pochi casi: decine di migliaia, confrontati con i milioni dell’abituale influenza stagionale. E senza vaccinazione e drastiche misure sociali.

Appare quindi chiaro che il nuovo virus ha un andamento analogo ad altri virus influenzali epidemici: nelle fasi interepidemiche si trasmette in maniera strisciante mentre esplode in epidemia per circa due mesi, ma con una “forza” molto più moderata di quella “normale” dell’influenza stagionale. (1)

È indubbio che sia necessario essere pronti, ma anche considerare la molto probabile ipotesi che la stragrande maggioranza delle contromisure epidemiche non saranno necessarie: non chiuderemo scuole, né comunità, non useremo farmaci profilattici né ci vaccineremo, anche perché, speriamo, l’epidemia andrà al suo termine prima che il vaccino sia realmente disponibile.

In conclusione: tanta cautela, drastica riduzione della comunicazione terroristica, continua e cauta sorveglianza, continua preparazione silenziosa al peggio, ma anche concreta visione di un fenomeno “morbido” analogo ad altri del passato trascorsi in silenzio.

FALSI ALLARMI E AFFARI

L’allarme epidemico è, ed è sempre stato, un formidabile propagatore di paura: ben al di là degli elementi scientifici disponibili, la paura dell’epidemia appare ben radicata nell’essere umano e prevale sulla comunicazione basata sull’evidenza.

Ma se la paura era razionale nelle epoche in cui le epidemie erano ricorrenti e mortali per intere fette di popolazione, meno logica è oggi, quando le tecnologie, le conoscenze, i sistemi di sorveglianza garantiscono da improbabili catastrofiche epidemie. E invece sistematicamente assistiamo a epidemie mediatiche, ove l’allarme va ben al di là del rischio reale, con conseguenze nefaste per la popolazione e per l’economia.
Solo negli ultimi dieci anni, in Italia, ne abbiamo viste parecchie.
L’allarme mucca pazza, che ha fatto crollare il mercato delle carni per un bel periodo senza che la nuova variante di morbo di creutsfell-jacob abbia fatto registrare un singolo caso nel nostro paese.
L’allarme Sars, il nostro comunissimo virus del raffreddore, che ha prodotto una catastrofe economica (commerci interrotti, aeroporti chiusi, viaggi proibiti) ma per fortuna solo quattro casi importati in Italia, tutti guariti.
L’allarme più grande è stato senza dubbio quello dell’influenza aviaria: un cataclisma mediatico durato sei mesi senza che vi sia stata alcuna trasmissione del virus H5N1 da uomo a uomo.
Abbiamo assistito a teatrini che oggi appaiono in tutta la loro comicità: un ministro della Salute che si precipita in soccorso a poveri cigni in cattive condizioni di salute; gli ombrellini anti pioggia fecale da stormi di anatre migranti in vendita a Napoli; l’astensione dal consumo di carne di pollo; centinaia di prime pagine dei quotidiani per mesi; un inferno di trasmissioni televisive; grande disorientamento della popolazione e anche dei medici.
Certo, c’è stato chi ha gongolato molto e, molto verosimilmente, non è stato estraneo all’epidemia mediatica. Industrie farmaceutiche sull’orlo della crisi sono state capaci di coinvolgere i politici dei paese ricchi alla corsa di “chi compra di più”, offrendo all’opinione pubblica la falsa assicurazione che il farmaco avrebbe protetto dall’epidemia. Istituzioni specializzate, laboratori, reparti infettivi, veterinari, hanno avuto una splendida occasione per auto-valorizzarsi e ottenere risorse, posti, dipartimenti.
Gli allarmi citati hanno però fatto bene anche all’intero sistema salute. Finalmente sono state avviate adeguate reti di sorveglianza, è drasticamente migliorata la capacità diagnostica clinica e di  laboratorio, è cresciuta la cultura della prevenzione.
C’è da sperare che tutto questo contribuisca anche a diminuire falsi allarmi futuri, che diventi meno impunibile la speculazione mediatica e commerciale, che si possa comunicare il rischio reale senza provocare allarmismo. Una cosa difficile in un mondo dove l’informazione è globalizzata e quindi poco governabile.

(1) Vedi ultimo aggiornamento www.ECDC.europa.eu

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