Gli incontri impossibili: Hahnemann e Albert Einstein
2 Maggio 2008 at 08:24 Lascia un commento
di Italo Grassi
Pauline Kock avrebbe condotto il figlioletto, Albert Einstein, nello studio di Hahnemann. Il piccolo Albert aveva problemi scolastici, imparava con difficoltà a causa della cattiva concentrazione e aveva la mente assorbita in altri pensieri. Interrogato dall’insegnante, rispondeva in modo incoerente ed esitante, passando rapidamente da un soggetto ad un altro senza una logica apparente. Einstein si sarebbe seduto, un poco impacciato nei movimenti, dopo essere inciampato sul tappeto. Hahnemann avrebbe osservato con attenzione quel piccolo bambino, all’apparenza timido e goffo, poi gli avrebbe accarezzato la folta chioma. “Allora, giovanotto, dimmi qual è la cosa a cui tieni di più.”
“Imparare.”
“Imparare?”
“Imparare è un’esperienza; tutto il resto è solo informazione.”
Hahnemann, stupito, avrebbe domandato. “Allora sai già cosa vuoi fare da grande?”
“Non cercare di diventare un uomo di successo, ma piuttosto un uomo di valore.”
Hahnemann, stancamente avrebbe inclinato la testa, sospirando: “Vorrei avere ancora questi sogni che, alla mia età, sono ormai tutti svaniti.”
Einstein, candidamente, avrebbe alzato le spalle: “E’ meglio essere ottimisti ed avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione.”
“Io, invece, domani dovrò recarmi al Consiglio dell’Università dove i suoi membri mi vogliono mettere alla gogna per le mie idee sull’omeopatia. Sono stanco di lottare e penso che non ci andrò, non darò a quei professori arroganti la possibilità di gettare altro fango sulle mie teorie.”
“I grandi spiriti hanno sempre incontrato violenta opposizione da parte delle menti mediocri.”
“Purtroppo sono loro gli arbitri della cultura scientifica.”
“Chiunque si pone come arbitro in materia di conoscenza, è destinato a naufragare nella risata degli dei.”
“Sostengono che l’omeopatia sia oscura e incomprensibile.”
“La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza.” Poi, Einstein, sorridendo, avrebbe aggiunto: “Chi non ammette l’insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato.”
“Se almeno fossi in grado di spiegare in che modo funziona l’omeopatia.”
“La fantasia è più importante della conoscenza.”
“Allora dovrei affermare che ho ragione perché tengo più fantasia di loro?”
“Si potrebbe dire che l’eterno mistero del mondo sia la sua comprensibilità.” Questa volta sarebbe stato Einstein ad accarezzare la testa calva di Hahnemann.” La vita è un pendolo i cui movimenti che oscillano tra l’anarchia e la tirannia sono alimentati da illusioni perennemente rinnovate.”
Hahnemann, sguardo nuovamente fiero e petto in fuori, avrebbe scritto la ricetta. Il problema del piccolo Einstein derivava dall’inadeguatezza di un corpo, ancora troppo giovane, inadatto a contenere una forza vitale esageratamente grande. “Prendi queste gocce di Agaricus muscarius.” Rivolto alla madre di Einstein avrebbe commentato: “Sono sicuro che questo bambino ha un grande futuro davanti a sé.” E, cingendo in un affettuoso abbraccio il bambino, avrebbe esclamato: “Domani parlerò, combatterò per le mie idee, mi mettano pure alla berlina per i secoli a venire, io sosterrò sempre l’omeopatia!”
La signora Kock avrebbe preso per mano il figlioletto, preparandosi a lasciare lo studio, ma prima di uscire il piccolo Albert sarebbe tornato indietro e, avvicinando le labbra all’orecchio del medico tedesco, gli avrebbe sussurrato: “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi.”
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